TUMORE DELLA PROSTATA

Il carcinoma della prostata è il secondo più comune  tumore per gli uomini occidentali, dopo quello polmonare.

L'incidenza annuale di carcinoma prostatico è di circa 160 nuovi casi all’anno per ogni 100.000 abitanti (dati americano del 2002). Tuttavia, la frequenza è largamente variabile nel mondo.

La rilevazione di questa frequenza può essere essere influenzata dai diversi tassi di diagnosi: essendo una neoplasia tipica dell'età avanzata, può infatti accadere che sopraggiunga il decesso della persona colpita, per vecchiaia o altre cause, prima che il tumore mostri sintomi o segni che rivelino la sua presenza.

Le cause del cancro alla prostata sono tuttora sconosciute. Fattori di rischio accertati sono l'età e la familiarità.    Il cancro alla prostata è molto raro negli uomini sotto i 45 anni, ma diventa più frequente all'aumentare dell'età.

L'età media dei pazienti al momento della diagnosi è di 70 anni. Gli uomini che hanno un familiare di primo grado che ha avuto questo tipo di tumore, hanno il doppio del rischio di svilupparlo rispetto agli uomini che non hanno avuto malati in famiglia. Il rischio appare maggiore per gli uomini che hanno un fratello con questo cancro rispetto a quelli che hanno solo il padre.

Il tumore prostatico nasce come un nodulo intraprostatico millimetrico e questa fase può durare un tempo estremamente variabile. In alcuni casi sembra che possa perdurare anche molti anni, tanto che fino all’80% degli ultraottantenni deceduti per altra causa e sottoposti ad autopsia presentano un riscontro incidentale di carcinoma prostatico che non aveva dato luogo a sintomi o manifestazioni in vita.

In altri casi il tumore si mostra rapidamente evolutivo.

La naturale evoluzione della neoplasia prevede l'espansione locale nel contesto della ghiandola e la successiva infiltrazione delle vescicole seminali, del collo vescicale e dell'uretra, evento che esita verso manifestazioni ostruttive (disuria), irritative (pollachiuria e stranguria) e di stenosi degli ureteri (tumore avanzato). La diffusione a distanza della malattia coinvolge in prima istanza le vie linfatiche (soprattutto linfonodi otturatori, iliaci, presacrali, retroperitoneali), e le ossa del rachide (vertebre, ossa della pelvi, femore, coste), in seguito altri visceri.


Il tumore prostatico in fase precoce di solito non dà luogo a sintomi. Spesso viene diagnosticato in seguito al riscontro di un livello elevato di PSA durante un controllo di routine. Talvolta il carcinoma può causare problemi simili a quelli della ipertrofia prostatica benigna, come frequenza e urgenza minzionale, nicturia, difficoltà a iniziare la minzione e a mantenere un getto costante, ematuria, emospermia, stranguria.

In stadio avanzato può causare sintomi addizionali quando si diffonde ad altre parti del corpo. Il sintomo più comune è il dolore osseo, spesso localizzato alle vertebre, alla pelvi o alle costole, e causato da metastasi in queste sedi. La localizzazione vertebrale può indurre compressione al midollo spinale, causando debolezza alle gambe e incontinenza urinaria e fecale. Dato che i sintomi del carcinoma prostatico compaiono solo nella malattia avanzata, è necessario fare diagnosi quando si è ancora in assenza di sintomi, ovvero attraverso uno  screening.


Lo diagnosi precoce del tumore prostatico passa attraverso l'esplorazione rettale e il dosaggio del PSA che pongono il dubbio della presenza della malattia, ma serve a stabilire chi deve sottoporsi alla biopsia prostatica per il giudizio di certezza di presenza di tumore.


La validità degli esami di screening in generale è controversa, poiché non è evidente se i benefici che ne derivano sopravanzino i rischi degli esami diagnostici successivi e della terapia antitumorale. Il tumore della prostata è un tumore molto eterogeneo, alcune forme molto aggressive devono essere identificate precocemente per poter essere guarite, mentre altre forme possono avere una crescita lenta e possono addirittura non essere curate ma solo monitorizzate (sorveglianza attiva) nei pazienti più anziani. Infatti nei pazienti con un'aspettativa di vita inferiore ai 10 anni un tumore prostatico di scarsa aggressività può non crescere abbastanza da dare luogo a sintomi, e i pazienti possono morire per altre cause.

Il dosaggio del PSA può svelare questi tumori che non avrebbero altrimenti avuto modo di manifestarsi. Pertanto lo screening deve essere evitato in pazienti con limitata aspettativa di vita, che non troverebbero giovamento dalla diagnosi precoce di una malattia con una crescita lenta.

Il dosaggio del PSA misura il livello ematico di un enzima prodotto dalla prostata. Livelli di PSA sotto 4 ng/ml (nanogrammi per millilitro) sono generalmente considerati normali, mentre livelli sopra i 4 ng/ml sono considerati anormali. Tuttavia molte variabili influenzano il PSA e rendono questa regola inesatta: l'età del paziente, le dimensioni della prostata, la presenza di altre malattie prostatiche (prostatiti, IPB, traumatismi). Pertanto in presenza di un PSA alterato è sempre necessaria l'interpretazione da parte dello specialista urologo, per distinguere la situazione clinica da approfondire da quelle che richiede solo una rassicurazione. A questo fine alcuni parametri possono aggiungere specificità al PSA, come il rapporto libero/totale del PSA, la PSA velocity o la PSA density. Inoltre, l’esplorazione rettale consente all’urologo di identificare noduli di incrementata consistenza nelle zone esplorabili della ghiandola.

Biopsia prostatica: quando lo screening ha posto il dubbio e la valutazione clinica lo ha confermato, si prospetta una valutazione più invasiva. L'unico esame in grado di infrangere le incertezze e porre diagnosi di carcinoma prostatico è la biopsia della ghiandola, ossia l'asportazione di piccoli frammenti di tessuto per l'esame al microscopio.


La biopsia prostatica è una procedura mini-invasiva che viene quasi sempre effettuata ambulatorialmente in anestesia locale. Può essere per via transrettale o transperineale e il dolore riferito dai pazienti oggi è scarso o assente del tutto. Ovviamente la sensibilità al dolore è individuale, ma la procedura (specie la transrettale) risulta quasi sempre "painless" ovvero esente da dolore. Pazienti con importanti comorbilità (cardiopatici, ad esempio) possono comunque richiedere l'ospedalizzazione per la biopsia prostatica.

I campioni di tessuto estratti vengono esaminati al microscopio per determinare la presenza di tumore, valutarne estensione (numero di frammenti coinvolti) e aggressività (Gleason score bioptico).

E' comunque importante dire che la biopsia prostatica estrae solo piccoli frammenti di tessuto prostatico e che quindi potrebbe risultare "falsamente negativa" ovvero risultare negativa anche quando la malattia è presente nella ghiandola prostatica. Questa è la ragione dell' eventuale ripetizione della biopsia se l'urologo lo ritiene necessario.

Le armi a disposizione degli urologi per curare il tumore prostatico sono molte. Ognuna presenta differente efficacia, effetti collaterali, indicazioni e controindicazioni, ma tutte le terapie del tumore prostatico possono ridurre in percentuali diverse la funzione erettiva, quella urinaria e intestinale. Pertanto attualmente la terapia del carcinoma prostatico deve essere confezionata “caso per caso” dopo aver studiato bene le caratteristiche del paziente oltre che del suo tumore. Lo specialista urologo in casi selezionati può avvalersi della collaborazione di altre figure professionali, come il radioterapista e l’oncologo.


Opzioni terapeutiche:

  • Prostatectomia radicale.
  • Radioterapia o brachiterapia.
  • Ormonoterapia.
  • Sorveglianza attiva (osservazione e rimandare una terapia radicale).
  • Vigile attesa (osservazione con eventuale uso di terapie palliative).
  • Ultrasuoni focalizzati ad alta intensità HIFU.
  • Criochirurgia.
  • Chemioterapia.
  • Combinazione di queste.




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