GIUNTOPLASTICA o PIELOPLASTICA

L’intervento di pieloplastica consiste nell’asportazione di quella parte di via urinaria sede del difetto sia esso parte del rene, sia esso uretere e nella ricostruzione della continuità con una sutura (plastica). Per raggiungere il rene sede della malattia ed esporre adeguatamente le strutture su cui eseguire la plastica si possono utilizzare diverse vie di accesso.

La tecnica tradizionale “a cielo aperto” prevede un taglio chirurgico sul fianco, di dimensioni proporzionali alle caratteristiche fisiche del paziente (body mass index) con sacrificio dei muscoli addominali che vengono sezionati trasversalmente rispetto al decorso delle fibre. Esistono varie tecniche per eseguire la sezione e la sutura della giunzione pielo-ureterale che condividono tutte la finalità di ripristinare la continuità delle vie urinarie e garantire quindi un normale deflusso delle urine verso la vescica.


Per proteggere il consolidamento delle suture sulla via urinaria si applica un cateterino (generalmente uno stent a doppio J) che mette in collegamento continuo le cavità renali con la vescica e facilita il drenaggio delle urine, in modo tale da evitare che le suture vengano poste in tensione.

La tecnica laparoscopica prevede l’introduzione nella parete addominale di piccole cannule (trocar), del diametro di 5-12 mm, attraverso piccoli fori (porte) di calibro identico, attraverso le quali vengono introdotti un’ottica collegata ad una telecamera e particolari strumenti, lunghi e sottili, con i quali si può eseguire la pieloplastica così come previsto dalla tecnica più tradizionale a “cielo aperto”.

L’intervento laparoscopico può essere eseguito per via transperitoneale o per via retroperitoneale; ad oggi non sono state dimostrate differenze sostanziali tra le due vie che vengono quindi scelte in base alle preferenze e/o abitudini del chirurgo oppure, di necessità, nel caso di pazienti che hanno già subìto interventi per la stessa patologia (recidiva) o per altre patologie addominali oppure ancora in caso di altre malformazioni associate (rene a ferro di cavallo). Per varie ragioni (anestesiologiche, anatomiche, tecniche, in presenza di complicanze intraoperatorie non gestibili in laparoscopia) l’intervento laparoscopico può di necessità essere convertito nella tecnica “a cielo aperto”.



L’anestesia è generale. La durata dell’intervento varia da 90 a 240 minuti a seconda della particolare situazione anatomica e della rapidità del chirurgo. Al termine vengono lasciati in sede per 5-6 giorni il catetere vescicale applicato all’inizio e per 2-3 giorni il drenaggio applicato alla fine dell’intervento.





La degenza in ospedale è di circa 3-5 giorni.
Dopo circa 20-30 giorni è necessario rimuovere lo stent a doppio J. La procedura viene eseguita in endoscopia, in regime ambulatoriale.
Gli esami di controllo possono prevedere esami morfologici (ecografia, urografia, TC, RMN) e funzionali (scintigrafia renale sequenziale).

Complicanze 
Le complicanze di questo intervento si distinguono in complicanze intraoperatorie (emorragia con necessità di emotrasfusione, lesioni pleuriche con insorgenza di pneumotorace, lesioni ad organi adiacenti quali surrene, milza, fegato, pancreas con rischio di insorgenza di fistole pancreatiche e pancreatiti, duodeno, colon con necessità a volte di eseguire una resezione colica oppure in casi più gravi di una colostomia); postoperatorie precoci (ematuria, infezione urinaria, sepsi, fistola urinosa, trombo-embolia, infarto miocardico, ileo dinamico); postoperatorie tardive (infezioni della ferita, sviluppo di ernie in sede di incisione, urinoma, stenosi secondaria del giunto pielo-ureterale).


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